La storia di Benan Kayyali
Cristiani e musulmani, fianco a fianco, per costruire un luogo di pace. Accade ad Aleppo, teatro di una violenza che ha butterato la terra, sventrato edifici, lasciato sepolti sotto il terreno centinaia di ordigni che attendono vigili il momento che li riconsegnerà alla luce con uno scoppio devastante. La lunga storia della guerra in Siria ha portato la città ad essere il centro caldo del conflitto per due anni. Un tempo interminabile, durante il quale le coalizioni militari e gli eserciti di ogni colore hanno scaricato sulla città una violenza cieca, e hanno sradicato dalle fondamenta edifici e speranze.
Cristiani e musulmani lì sono insieme, per dare al futuro un respiro, per riaccendere una luce, flebile ma viva, in mezzo al fumo delle macerie. È quello che ci racconta la dottoressa Benan, responsabile e infaticabile animatrice dei progetti di Pro Terra Sancta nella città siriana.
Gli inizi, nel 2015
“Noi dobbiamo aiutarci; dobbiamo stare dalla stessa parte, sempre. Siamo più forti così! E dobbiamo stare insieme per costruire il meglio”: così parla Benan al telefono, in un inglese concitato, leggermente imbarazzata dalla richiesta di raccontare e di raccontarsi. Poco più di una trentina d’anni, una laurea, un Master ed un Dottorato in Psicologia e in Salute Mentale, Benan è ritratta nelle foto come una donna sorridente. Gli occhi neri e vispi spiccano tra l’hijab e il gilet bigio del Franciscan Care Center, il progetto cui la donna partecipa ad Aleppo ormai da sei anni, da quando ha conosciuto padre Firas Lutfi, francescano, che l’ha coinvolta in Associazione Pro Terra Sancta. “Ho conosciuto padre Firas nel 2015, qui ad Aleppo. La città era allora nel bel mezzo della crisi e la attraversava il fronte dei combattimenti. Abbiamo parlato a lungo, abbiamo discusso insieme; ed entrambi abbiamo nutrito il desiderio di compiere qualcosa di concreto, di reale e di utile per gli uomini e le donne che avevano vissuto e stavano vivendo la guerra”.
È nato così questo strano dialogo tra i colori variopinti del velo che incornicia il viso di Benan ed il marrone del saio del francescano. Una singolare armonia, che ha cominciato a dipingere le vite di chi, ad Aleppo, li incontrava. A dipingere letteralmente: “Ho suggerito a padre Firas di cominciare con un Programma di supporto psicologico mediante l’arte; siamo andati incontro ai ragazzi e alle ragazze, a quelli che erano traumatizzati, quelli che avevano disturbi psichici, che erano resi mentalmente deboli dal dramma e dalle bombe”. Il progetto ha resistito, a stento, per due anni, sorretto dalla volontà di Benan e di padre Firas di gettare un seme di pace nel cuore del conflitto.
Ad Aleppo Est
Nel 2017 è arrivata la liberazione, e Aleppo ha schiuso agli occhi di tutti la catastrofe che si annidava nei suoi quartieri orientali. La parte Est della città, pesantemente bombardata durante i combattimenti, era stata rasa al suolo. Era lì che la stragrande maggioranza degli ordigni giaceva, ancora inesplosa, sottoterra. Benan la descrive così: “Granate, bombe, mine; tutto poteva esplodere da un momento all’altro. La gente ci diceva di non andare nei quartieri ad Est, era troppo pericoloso”. Ma Benan e padre Lutfi si sono avventurati anche in quell’area della città: “Siamo andati lì dentro, abbiamo visto i quartieri di Aleppo Est, abbiamo parlato con la gente; e abbiamo cominciato a progettare: abbiamo pensato di costruire qualcosa per la gente, per venire incontro ai loro bisogni, specialmente a quelli dei bambini”.
Benan fa una pausa. Forse passano davanti ai suoi occhi le immagini delle distruzioni di Aleppo Est. Forse quelle delle migliaia di bambini che in mezzo a quelle rovine erano stati abbandonati da tutti, e si aggiravano soli, svezzati ancora troppo piccoli da una violenza che aveva portato loro via ogni certezza, perfino quella di una mamma e di un papà. Ad Aleppo Est tanti bambini erano nati in pieno conflitto: “i bambini sono le vittime di questa guerra; quelli che erano nati da un padre ritenuto un terrorista, oppure da qualcuno straniero non ricevevano neppure un documento che riportasse il loro nome”. Orfani e anonimi: null’altro che ombre, pallide ed emaciate, nella desolazione ormai silenziosa delle macerie.
La donna riprende il suo racconto: “Volevamo fare qualcosa anche lì con padre Firas, costruire un centro di aiuto alla popolazione, per rendere la vita della gente un poco migliore”. I due hanno cominciato, ma in breve hanno avuto bisogno di fondi.
Nasce Un nome e un futuro
Ecco che allora è intervenuta Pro Terra Sancta, racconta Benan, “che padre Firas conosceva già da tempo; è stato lui a chiedere una mano all’Associazione, e Pro Terra Sancta, per fortuna ci ha aiutati. Sono stati loro a trovare per noi sempre più donatori, per garantire a noi una continuità per il progetto, assicurargli un futuro”. E di futuro si è allora cominciato a parlare: il progetto che Benan e padre Firas hanno potuto, grazie a Pro Terra Sancta, mettere in piedi ad Aleppo Est è stato proprio chiamato Un nome e un futuro.
Dal 2017 ad oggi Associazione Pro Terra Sancta accanto ai francescani della Custodia non ha cessato di prestare servizio ai bambini di Aleppo. Inizialmente si è trattato di offrire loro null’altro che un nome: “li abbiamo aiutati sotto il profilo legale, e li abbiamo registrati”. Poi il progetto ha cominciato a farsi carico concretamente del loro futuro, come racconta Benan: “abbiamo realizzato un centro di formazione per tutti quelli che non potevano permettersi di andare a scuola; c’era anche la possibilità di ricevere cure mediche, e avevamo assunto un pediatra”. Ma non solo i bambini erano bisognosi di una rinascita.
L'impegno per le donne
Anche le donne, ad Aleppo Est, erano protagoniste di una catastrofe. Molte di loro erano ormai le silenziose superstiti di una tempesta che aveva portato loro via gli affetti più cari, partiti per il fronte o più semplicemente ritornati alle loro case, dopo aver terminato il loro servizio di mercenari ad Aleppo. Altre, ragazze o adulte che fossero, erano state vittime di violenze, e avevano avuto tante volte il coraggio di dare alla luce bambini e bambine che da più parti sono venivano con sufficienza trattati come il prodotto di condotte immorali. Anche per loro Pro Terra Sancta si è attivata.
“Anche per le donne, che non sapevano leggere e non sapevano scrivere, noi volevamo fare qualcosa” – racconta Benan – “e le abbiamo fatte studiare nel nostro centro di formazione. Ora hanno quasi tutte ricevuto un diploma ufficiale”. Una crepa verso il futuro, quella che si è aperta nel centro, che ha cominciato ad allargarsi, a fare spazio a tutti gli ultimi, ai dimenticati, agli abbandonati: “il centro di formazione è stato aperto anche alle persone con disabilità, per fare riabilitazione”. Ogni aspetto del progetto Un nome e un futuro è monitorato, “qualitativamente e quantitativamente”, dice fiera Benan sfoderando le sue capacità accademiche, per non disperdere energie e denaro.
Un’ultima parola, Benan la dedica a ringraziare chi le ha permesso di mettere in cantiere tutto questo: “È chiaro: tutto questo è stato possibile grazie all’aiuto che ci ha dato Pro Terra Sancta; perché è stata la mano forte e discreta che ci ha sospinti, sorretti, e ci ha aiutati a realizzare ogni cosa”. La si sente ridere al telefono, incespica un poco nella pronuncia, poi sempre ridendo dice: “Far parte di Pro Terra Sancta è qualcosa di spettacolare, perché possiamo fare del bene alla gente; tanto bene. Possiamo aiutare le persone insieme, e quest’iniziativa è esattamente la cosa giusta da fare. Per il meglio”.
Per contribuire anche tu a questa storia, visita la pagina dedicata al nostro progetto, e scopri cosa puoi fare!