Che la guerra sarebbe stata lunga, lo potevamo immaginare. Che oggi – dopo un anno – fossimo a davanti a una sanguinaria resa dei conti tra le principali potenze regionali, era un timore di cui avremmo francamente fatto volentieri a meno.
L’anniversario di oggi non è qualcosa che appartiene al passato. Non è il ricordo di un fatto accaduto e con cui la memoria sta cercando di far pace. Il 7 ottobre 2024 ci ricorda che dopo un anno la guerra non è ancora finita. 40.000 morti, gli ostaggi ancora nella Striscia, il fronte aperto con Hezbollah e con l’Iran, la possibile guerra regionale, i timori per l’utilizzo delle armi nucleari. E poi il dolore delle famiglie, degli orfani, degli anziani, dei malati che non posso più curarsi, dei bambini che non possono più andare a scuola, di chi ha ancora un amico o un fratello tenuto in ostaggio. Tutto questo ci ricorda il 7 ottobre.
E’ stato un anno faticoso e non facciamo fatica ad ammetterlo. Un anno dove le relazioni, la fiducia, gli incontri sono stati messi a dura prova. Un anno che ha cancellato amicizie e rapporti. Che ci ha costretto a un duro lavoro, per aiutare la parrocchia di Gaza diventata un centro di accoglienza per centinaia di profughi. Dove le famiglie hanno ricevuto, grazie al vostro contributo, beni di prima necessità, cibo, medicinali e vestiti. Dove i bambini continuavano a giocare, nell’oratorio, cercando attimi di precaria serenità. O nei campi profughi, dove abbiamo distribuito vestiti, coperte, cibo e kit di pronto soccorso a circa 300 famiglie che non avevano e non hanno più nulla. Che più di tutto hanno perso la speranza. E i "bambini farfalla", che richiedono cure costanti. Un progetto che va avanti da tempo e che non si è fermato nonostante la guerra.
Sono segni di speranza, questi. Proprio come lo sono i ragazzini di Sebastia (un paesino molto difficile della Cisgiordania), che, nel pieno della tempesta, si mettono a pulire la strade della loro città. In silenzio, sorridendo, per dare un altro volto a quello che sarebbe solo un altro fronte di guerra. Perché i luoghi dove vivono devono essere puliti, e la bellezza deve essere preservata. Ce lo hanno raccontato, anche in questi giorni, quando i nostri canali whatsapp erano sommersi dalle foto di questo piccolo esercito di ragazzi, armato solo di scope e strumenti per pulire. Per questo abbiamo scelto di mostrarvi loro, e non le immagini che affollano già i nostri social. Un piccolissimo punto di luce che come una fiamma flebile di una candela vogliamo tenere tra le mani al riparo del vento dell’odio e della guerra, perché non si spenga, continui a brillare e ci ricordi che è anche questo la Terra Santa.
Di solito, per anniversari di questo tipo, è facile ricordare il tanto male che è stato fatto, il sangue versato, le vedove e gli orfani. Noi vogliamo soprattutto ricordare una cosa: che il bene non si è fermato, che la speranza sopravvive, che da qualche parte c’è ancora qualcuno che sorride, e che non si lascia vincere dal dolore. Più che il male fatto, è giusto ricordare il bene che nessuno è riuscito a distruggere.
Vogliamo proseguire su questa strada, come ci ha chiesto anche il patriarca di Gerusalemme: “Abbiamo il dovere di impegnarci per la pace, innanzitutto preservando il nostro cuore da ogni sentimento di odio, e custodendo invece il desiderio di bene per ciascuno. E poi impegnandoci, ognuno nei propri contesti comunitari e nelle forme possibili, a sostenere chi è nel bisogno, aiutare chi si sta spendendo per alleviare le sofferenze di quanti sono colpiti da questa guerra, e promuovere ogni azione di pace, di riconciliazione e di incontro”.
E’ un compito chiesto a ciascuno. E oggi più ormai urgente.