“Bombardano da giorni a pochi chilometri da qui, noi stiamo bene, ma la situazione peggiora di giorno in giorno. La Valle dell’Oronte a 12 km da qui è quasi deserta, migliaia di persone sono in fuga dai bombardamenti e in moltissimi si presentano a chiederci da mangiare e da bere, dormono sotto gli ulivi e nei campi della zona, all’aperto, senza nulla”. Così fra Hanna Jallouf, uno degli ultimi due religiosi rimasti a Knaye, nella provincia di Idlib, dove da giorni l’esercito governativo siriano e l’esercito russo bombardano l’ultima roccaforte dei jihadisti di Jabhat Al-Nusra, nel nord della Siria. “L’altro ieri i ribelli – ha aggiunto ieri fra Hanna a Tv2000– hanno bombardato la città cristiana di Al-Sekelbiya uccidendo 5 bambini e il loro catechista. Tanta gente muore per questa sporca guerra. Speriamo che questo massacro finisca presto”
La situazione è degenerata a fine aprile dopo che la base russa di Latakia, la più importante operativamente, è stata bersagliata per due giorni consecutivi da alcuni droni lanciati dai gruppi jihadisti dalla provincia di Idlib. L’attacco islamista non ha causato danni alla base russa, ma ha creato il pretesto per iniziare raid aerei sulla regione controllata dai ribelli.
Secondo fra Hanna, che in un nostro precedente articolo aveva anticipato (“attaccheranno dopo l’inverno”) questa è la resa dei conti, l’ultima battaglia per liberare la zona oppressa da più di otto anni di soprusi e violenze. Una liberazione che rischia però di trasformarsi in una crisi umanitaria di enormi proporzioni, dato che nell’area vivono circa 3 milioni di persone di cui, stando alle fonti delle Nazioni Unite, sono più di 180.000 le persone già in fuga dalle aree colpite.
“Viviamo su una lama di coltello – dice ancora fra Hanna –, qui scarseggia tutto e quello che si trova costa troppo”. Per questo insieme a fra Hanna e a padre Louay, Associazione pro Terra Sancta continua gli sforzi per portare aiuti alle famiglie di Knaye e del vicino villaggio di Yacoubieh, comunità che hanno vissuto otto anni sotto l’oppressione jihadista e che ora si trovano ad affrontare un’ulteriore prova.
Sostenere la loro presenza lì è fondamentale, perché “rimanere – dice il francescano – è la nostra missione”. E conclude: “Ognuno di noi ha un compito nella vita, una missione da portare avanti fino in fondo, la nostra è questa sin dai tempi di San Paolo: quella di rimanere qui per portare la speranza del Signore a tutti. E chi è rimasto insieme a noi è rimasto per dire a tutto il mondo che chi confida nel Signore può affrontare tutto, senza scappare. Questa è la nostra testimonianza”.