Nel più crudele dei silenzi, la Siria si sta avvicinando al suo dodicesimo anniversario di guerra.
L’anno appena passato rivela tutta la tragicità che il popolo e i rifugiati siriani ancora sono costretti a sopportare. Il 2022 è l’anno in cui sono state registrate meno vittime in Siria dallo scoppio della guerra civile il 15 marzo del 2011. Un’ottima notizia verrebbe da dire. Peccato che le persone morte a causa della guerra l’anno scorso siano state almeno 3.825.
Certamente meno rispetto al 2014 e i suoi undicimila morti, ma si parla ancora di una strage iniziata oltre un decennio fa e che ad oggi ha strappato la vita a circa mezzo milione di persone.
Alcuni governi leggono la diminuzione del numero delle vittime come un fattore positivo per una pace sempre più vicina. Ma la realtà sul territorio è ben diversa. Se è vero che l’intensità dei combattimenti è gradualmente diminuita negli ultimi due anni, soprattutto nelle aree a nord, è anche vero che nel 2022 solo le mine-antiuomo sparse in tutta la nazione siriana hanno causato la morte di più di 200 persone, metà delle quali minorenni.
Il numero dei feriti per causa dei residui bellici inesplosi e abbandonati sul terreno è incalcolabile.
Il quotidiano La Repubblica riporta che nel 2022 i bambini uccisi per colpa della guerra in Siria sono 321.
Il contesto
I siriani anche oggi soffrono enormemente. Il Paese è ancora in balia del caos e non è per niente sicuro: rapimenti, torture, detenzioni, punizioni collettive, sanzioni internazionali e la “bomba della povertà” sono letali tanto quanto le armi.
Sotto il regime del presidente Bashar al-Assad l’85% dei siriani vive nella povertà più assoluta.
Circa 14,6 milioni di persone necessitano in questo momento di assistenza umanitaria, e gli analisti descrivono il 2022 come il peggiore dallo scoppio della rivoluzione contro il presidente in termini di situazione economica e umanitaria.
Attivisti, ong e istituzioni affermano che la situazione in Siria non permette ancora il ritorno di milioni di rifugiati. Gran parte delle infrastrutture distrutte non sono ancora state ricostruite, l’economia è al collasso ormai da un decennio, il freddo penetra nelle abitazioni prive di elettricità e le sanzioni internazionali, in primisil Caesar Syria Civilian Protection Act, colpiscono solo la popolazione allo stremo delle forze.
Paese e persone distrutte, la lira siriana in caduta libera, prezzi proibitivi dei beni di prima necessità e famiglie spezzate.
I rapporti con i Paesi dell'area
Diversi ricercatori e analisti sostengono che qualcosa timidamente stia cambiando.
Con la Russia impegnata da quasi un anno nella guerra in Ucraina, gli Stati sunniti del Golfo vogliono imporsi come attori principali per la ricostruzione postbellica della Siria e si punta anche a intercettare almeno una parte degli investimenti esteri. Damasco sembra intenzionato a recuperare un ruolo importante in Medio Oriente e vuole riallacciare buoni rapporti diplomatici con i Paesi della regione.
Nel 2018, gli Emirati Arabi Uniti hanno dato l’esempio agli altri paesi arabi sulla necessità di riabilitare il presidente Bashar al-Assad riaprendo per primi la propria ambasciata nella capitale siriana. Dal 2021 nove dei 22 membri della Lega Araba hanno seguito i passi degli Emirati.
L’Amministrazione Biden punta ormai quasi esclusivamente alla stabilità di Israele (che tra l’altro continua a compiere decine di raid in Siria) e a un accordo sul nucleare iraniano.
Rimangono incerti il futuro della popolazione civile curda in Siria, le grandi aree ancora fuori dal controllo governativo e gli attacchi mai cessati dei lupi solitari e delle cellule terroristiche.
Se per numerosi esperti di affari internazionali la pace per la Siria sembra impossibile, la speranza e la resilienza che i civili siriani ci testimoniano a ogni missione nel Paese sono il segno di una grande umanità che resiste nonostante gli abusi e le sofferenze.
Di questo ve ne parleremo nei prossimi articoli.