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Il pulmino della vita di Aleppo Est

21 Aprile 2023
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Il pulmino della vita di Aleppo Est
<strong>Il pulmino della vita di Aleppo Est</strong>

Da lontano sembrerebbe un pulmino come tanti. Vecchio e scassato. In Italia probabilmente verrebbe rottamato subito. Quasi si confonde tra le auto parcheggiate a fianco delle macerie. Solo il rosso della carrozzeria si fa notare nella depressa periferia di Aleppo.

Avvicinandosi, si cominciano a sentire le voci dei bambini che squarciano la monotonia malinconica di una città distrutta, che ha seppellito il futuro sotto i palazzi, tra le macerie. Quelle vecchie, causate dalla guerra, e quelle nuove provocate dal terremoto.

La dottoressa Binan Kayyali, giovane e competente psicologa che coordina i centri di “Un nome e un futuro”, mi accompagna sul bus. Salgo su quegli scalini stretti e sento già contare in arabo. “Cinque per sei? Trenta! Cinque per sette? Trentacinque!”.

Ancora una volta. “Bravi! e adesso chi vuole leggere una storia?”. Si alzano tutti, con le mani alzate. Sono una ventina in tutto. “Io voglio leggere ancora la storia dell’altra volta!”. “Sì!! Anche io, anche io!”. Sono i bambini di Aleppo est. Hanno sette, otto, dieci anni. In comune hanno una cosa: lavorano tutto il giorno e non sono mai andati a scuola. Vivono in un paese privo di opportunità. I loro primi anni di vita sono passati tra le violenze dello Stato Islamico e le bombe dei russi. Oggi vivono in una condizione di povertà assoluta. Ahmed ha otto anni e fa il calzolaio, aiuta la sua famiglia che con uno stipendio di 20€ al mese non riesce a mettere in tavola un pezzo di carne da anni. “Nel fine settimana vengo qui, mi diverto e imparo qualcosa: spero da grande di fare un bel lavoro per essere più utile alla mia famiglia”.  Si diverte, spera. Come tutti questi ragazzi che hanno cominciato a frequentare questa strana scuola itinerante.

Nessuna scuola, nessun futuro

Il pulmino fa il giro dei quartieri durante il fine settimana, quando non lavorano, e li recupera, uno a uno. Si avvicina un ragazzo e mi mostra tutto orgoglioso un quaderno con delle moltiplicazioni: “Guarda, ho imparato a fare le tabelline!”. Una giovane educatrice lo accarezza e gli dà una piccola caramella come premio.

Binan mi confida che questo ragazzo ha avuto la casa gravemente danneggiata dal terremoto e ha subito traumi psicologici durante la guerra. “Da quando ha iniziato a venire con noi, ha cominciato a sorridere. E quando vede il pullman arrivare in lontananza, urla a tutti: sta arrivando il pulmino della vita!”. Quella vita che una guerra ingiusta e un terremoto ancora più ingiusto hanno tolto a tanti dei suoi coetanei.

Ad Aleppo è difficile avere un futuro. Soprattutto per loro, costretti ad aiutare i genitori dalla più tenera età. Nessuna scuola, nessuna prospettiva. “Naturalmente in questo progetto cerchiamo di aiutare anche i genitori a trovare un lavoro più remunerativo, così che possano mandare i figli a scuola”, mi dice Binan. E’ difficile. E questo è solo un primo passo, piccolissimo. Però funziona, ed è contagioso. Altri ragazzi cercano di salire a bordo. E qualcuno pensa già in grande: “Io voglio costruire i palazzi!”. “Io sogno di pilotare gli aerei!”. “Quanto mi piacerebbe fare il dottore!”. Il loro entusiasmo fa tenerezza. In mezza giornata, con gli educatori hanno fatto di tutto: hanno letto storie, fatto dei quiz per ripassare un po’ di geografia, hanno cantato per ripassare le tabelline. Alla fine, rientrare a casa è un po’ difficile. “Mi dispiace perché so che dovrà passare un’altra settimana prima di tornare qui”, dice Joussef a Binan, abbracciandola. Il pulmino riparte, questa volta per il deposito. E guardandolo allontanarsi, penso che su quei vecchi sedili si può davvero ricominciare, e sperare. Immaginare un futuro diverso, e farlo insieme agli altri. Col tempo, magari anche superare le paure e i traumi.

È il pulmino di Aleppo est. Il pulmino della vita.

Aiutaci a far crescere il pulmino rosso di Aleppo est.

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