Diego posa la livella al pavimento. Controlla bene. E poi, sconsolato: “Niente da fare, il pavimento pende chiaramente verso sinistra. Il terreno ha ceduto. E questo edificio deve essere demolito”. E’ una storia che si ripete spesso, nelle ricognizioni degli ingegneri che passano in rassegna le case di Aleppo. Bruno colpisce col martello i muri di un altro palazzo per capire il da farsi. “Vedi queste crepe? Sono troppo profonde: potrebbe crollare da un momento all’altro”.
Giorgio scuote la testa appena vede un balcone pericolante su una strada di frequente passaggio. “Non c’è nemmeno una bindella per limitare il traffico delle persone. E potrebbe cadere a ogni minuto”.
La fase due con Pro Terra Sancta
È passato un mese dal terremoto e inizia la fase “due”, quella dedicata alla ricostruzione. La squadra è al lavoro, accompagnata da alcuni ingegneri locali e i membri del “Syrian Trust for Developement”, l’associazione che sta lavorando per riparare i danni causati dal terremoto. Ci sono anche loro, quattro specialisti venuti dall’Italia con grande entusiasmo per aiutare. Libero, Giorgio, Bruno e Diego: è la prima missione che Pro Terra Sancta ha organizzato per dare il via alla seconda fase.
Spesso non è facile: in una città come Aleppo, i danni del terremoto hanno danneggiato in modo irreparabile edifici costruiti con incuria colpevole. Le macerie sono ancora lì dove il terremoto le ha scaraventate. Non ci sono ruspe che possono andare a toglierle, e non si sa quanti morti debbano ancora essere estratti. Centinaia, migliaia. Soprattutto ad Aleppo Est. I nostri esperti dialogano con gli ingegneri locali, offrono pareri, misurano i danni.
Le parole di fra Bahjat
Questa missione è frutto di una bella collaborazione con il governo siriano e tra le chiese locali. “Una cosa mai vista – dice il parroco francescano padre Bahjat – ben tredici chiese cristiane che si sono unite come non mai per aiutare immediatamente la popolazione”. Un ecumenismo di sangue, lo chiamano. Quell’unità che nemmeno durante la guerra erano riusciti ad avere. E ora si trovano assieme, per coordinare gli aiuti e cominciare a ricostruire. Le case, certo. Ma anche le chiese e gli edifici di culto, così preziosi nella città martire siriana. “Le persone hanno bisogno di case, ma anche di luoghi dove pregare. Lo abbiamo visto durante la guerra – prosegue fra Bahjat – come le persone si fossero trovate smarrite senza un luogo che li richiamasse a sperare”.
Le giornate passano tra una visita e l’altra. “Qui l’acqua ha creato un’infiltrazione”. “Bisogna evacuare subito questo edificio”. E ancora: “Attenzione a mettere i mattoni sulle scale: in queste condizioni potrebbero crollare”. Attenzione a tutti i dettagli. Ogni particolare non viene sottovalutato. A volte si può fare ancora qualcosa per salvare l’edificio, altre volte bisognerebbe demolirlo. Si spera che venga fatto.
Le nostre giornate tra entusiasmo e sconforto
Entusiasmo e sconforto si abbracciano in queste giornate intense, dove non c’è un attimo da perdere. Anche Basil, un giovane ingegnere aleppino, si unisce al gruppo. Pochissima esperienza, ma tanta voglia di fare. E di imparare. “Quando ho saputo di questa missione, ho subito cercato di unirmi al gruppo. Voglio dare una mano a ricostruire il mio paese”. Non è scontato. La maggior parte dei giovani se ne vuole andare, e non si nasconde più.
La Siria vive una crisi economica senza precedenti, con la lira che si svaluta ogni giorno che passa. Le prospettive sono davvero poche, eppure c’è ancora chi spera in un futuro migliore. Aggiunge Basil: “Ma non basta sperare. Bisogna provare a costruirlo. Io sono stato fortunato nella vita. Ho potuto studiare, frequentare una bella Università e ho buone possibilità di fare un bel lavoro. Voglio restituire un po’ quello che mi è stato dato. Con i miei amici, per le persone che vivono ancora qui. E con l’aiuto di Dio, sono sicuro che ce la faremo”.