“E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda”! Così esclama l’evangelista Matteo (2,6), ricordando, come spesso accade, un passo dell’antica scrittura profetica d’Israele. Ed in particolare torna qui alla memoria l’affermazione di Michea: “E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele” (5,1).
Il Natale cristiano
Ecco ciò che oggi ricordiamo: la venuta al mondo di un dominatore. Un sovrano che sceglie la povertà, che si ammanta di qualche straccio e di paglia, che spalanca per la prima volta gli occhi sulla nuda volta di una grotta rocciosa. Ricordiamo, nel Natale cristiano, un Dio che si fa bambino, ultimo, povero tra i poveri.
Ricordiamo un Dio vivo, che accarezza ed è accarezzato, un Dio che nell’umiltà della vita di una ragazza in fiore ha appreso a sorridere, a giocare, a parlare. Ricordiamo, oggi, un Dio che ha manifestato la sua gloria sul legno di una mangiatoia, consegnandosi nudo e tremante alle mani callose e sbigottite di un padre che, forse, avrà avuto bisogno di una vita per capire.
E il Natale cristiano è davvero tutto qui: nasce un sovrano che per compassione sceglie la nudità dell’uomo, la sua fragilità, perché sia noto a tutti che “Dio è con noi”. Con tutti noi.
Betlemme oggi
È difficile, oggi, fissare la cittadina palestinese di Betlemme, senza che sorga in cuore una domanda simile a quanto esclama l’evangelista: “Betlemme, davvero tu non sei l’ultima delle città? Davvero la tua povertà non è una condanna priva di redenzione?”.
Sembrerebbe di non poter più rispondere con gioia; verrebbe da dire che Betlemme soffre tremendamente sotto il peso di un passato che oggi la opprime e la stritola. Verrebbe da pensare solamente ai settant’anni e più di guerra che la cittadina ha alle spalle. Anni che non hanno portato ad altro che al grigiore di un muro di separazione dallo Stato di Israele, alto cinque metri e coronato dal filo spinato.
Un grigiore che striscia ed aleggia sull’intera Betlemme. S’insinua fra le botteghe, dove gli artigiani, sbattono gli occhi sonnolenti nella penombra di botteghe vuote di turisti e di pellegrini. In un nuovo Natale di pandemia, Betlemme vive sotto la cappa plumbea della sua immobilità. Un’oppressione lenta, continua, che schiaccia le donne nello spazio di casa, soffocando come un panno sulla fiamma la speranza nel futuro. Un abbandono che degrada lentamente la vita dei giovani: la loro vita primaverile non ha nulla dello slancio entusiasmante dell’età in fiore, ma si spegne nei loro occhi frustrati e falliti, che si alzano solo per salutare casa, e partire chissà per dove, con il cuore stretto e la testa confusa…
Il Natale a Betlemme
Verrebbe da pensare allora davvero che Betlemme è l’ultima fra le città, un villaggio abbandonato. Ma occorre lasciar accadere il Mistero dell’incarnazione, occorre stringersi intorno alla culla da cui Dio stesso guarda giocando l’uomo, per rendersi conto di quanto più a fondo respiri la vita.
Solo da lì, attraverso gli occhi sorridenti di quel bambino, si potrà leggere come segno di speranza il Natale che la comunità locale prepara a Betlemme. È vero, mancano i pellegrini, e questo si traduce in un danno economico e produttivo irrimediabile, ma Gesù nasce, e questo è sufficiente. Ecco che allora le luminarie che coronano le strade della cittadina sembrano illuminare anche i lastroni grigi del muro. Ecco che una nuova luce, timida, fioca, pare spandersi per le case.
I nostri progetti
Un nuovo lume sembra soffermarsi appena, timidamente, sulle porte della Società Antoniana, vicino alla Basilica della Natività. Lì un’ottantina di persone anziane, rimaste sole, sono accolte in una struttura che si prende cura di loro a tutto tondo. Perché il bambino nasce anche per chi bambino non è più, per portarlo a rinascere.
Un alone di luce è acceso in questo Natale per le Bet-women, le donne betlemite cui abbiamo offerto un’opportunità di riscatto, rilanciando dopo la fase acuta della pandemia il loro impiego lavorativo. Una luce variopinta, come i tessuti che le Bet-women compongono con maestria ed arte, secondo l’antica tradizione del Taatreez, recentemente riconosciuta come patrimonio dell’umanità.
E una luce, qui e là, occhieggia anche nelle vite dei ragazzi e delle ragazze di Betlemme, che cercano di restare attaccati alla loro terra, di nutrire per lei sogni di pace e di grazia. È a loro che abbiamo pensato nel progettare il suo ufficio di Dar al-Majus, in cui nuovi progetti per la comunità betlemita e nati da essa prenderanno forma e troveranno una casa.
Il Natale cristiano ci dice che Dio non disdegna la polvere, la povertà, l’oppressione, la noia e la fatica. No: queste sono dal Signore predilette per fare ingresso nella storia dell’uomo. Per testimoniare che ogni storia, povera quanto si vuole, una volta per sempre, è divenuta una storia d’amore. Quello stesso amore, oggi, proviamo a seminarlo sulle strade di Betlemme, là dove Gesù ha preso parte alla storia. Là dove, in fondo, il Natale è di casa.