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Sul Tabor: la Trasfigurazione con padre Ricardo Bustos

05 Agosto 2022
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Sul Tabor: la Trasfigurazione con padre Ricardo Bustos
Sul Tabor: la Trasfigurazione con padre Ricardo Bustos

In occasione della festa della Trasfigurazione, che si celebrerà solennemente domani 6 agosto, ecco l’intervista a padre Ricardo Bustos, guardiano proprio del Santuario della Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo, sulla cima del monte Tabor. Sulla sessantina, padre Ricardo è sorridente e sereno. Il suo saio ondeggia nel vento che accarezza il frondoso giardino in fiore, tutt’attorno al santuario, una macchia di colore vivissimo fra i campi della Galilea. Si siede su un sottile muretto appena fuori le due alte torri della facciata della chiesa e comincia a raccontare di sé e, soprattutto, comincia a parlare di Vangelo.

Padre Riccardo, lei conosce bene tutta la Terra Santa; ci racconti un po’ di lei, di come è arrivato al santuario della Trasfigurazione.

Io vengo da Buenos Aires, in Argentina. Ho ricevuto lì la mia vocazione, e poi sono stato mandato subito a Roma, per imparare la lingua. Nel 1983 sono sceso per la prima volta in Terra Santa, per studiare teologia, e sono stato ordinato sacerdote a Gerusalemme.

Dalla Terra Santa sono poi dovuto tornare in Italia, a Roma, dove mi hanno chiesto di fare il maestro dei provandi, i postulanti dell’ordine francescano. Poi, nei nove anni successivi sono stato a Buenos Aires, a Nazaret e di nuovo nella capitale argentina, dove ho messo in piedi un ‘Centro per pellegrini’, con cui portavo i gruppi in Terra Santa.

Ho fatto tre anni a Betfage, poi, passando per la Giordania, mi hanno mandato nove anni a Nazaret (dovevano inizialmente essere tre, poi se ne sono aggiunti altri tre, poi altri tre su richiesta dell’allora custode padre Pierbattista Pizzaballa). È stata un’esperienza magnifica, abbiamo rivitalizzato il santuario, troppo spesso chiuso, con le adorazioni eucaristiche, le fiaccolate e i rosari meditati sulla vita di Gesù a Nazaret.

Dal 2013 al 2016 ho vissuto a Betlemme e posso dire di essermi goduto appieno i restauri della Basilica della Natività. Sono molto appassionato di archeologia e spesso mi fermavo a guardare i lavori: le fonti sono molto importanti. Vedere i tubi dell’età costantiniana, gli affreschi, le pareti… è stato molto utile per capire meglio. Poi, dal 2016 ad oggi, sul monte Tabor …

Ecco. Con chi è qui? Cosa si prova a vivere qui sul monte Tabor la festa della trasfigurazione?

Oggi siamo rimasti solamente in tre in questo convento: fra Francisco Candrai, del Salvador, fra Salem Yunus, siriano, e io. Un po’ come Pietro, Giovanni e Giacomo…

Io penso che la Trasfigurazione sia un’esperienza di ogni giorno, non solo del 6 di agosto. Questo perché scaturisce dalla domanda fondamentale che Gesù rivolge ai discepoli: ‘Voi, chi dite che io sia?’. E questa domanda è sempre attuale; perciò è sempre attuale anche la Trasfigurazione. E, vissuta così, la Trasfigurazione è anche una realtà per tutti, non solo per i cristiani, ma anche per gli ebrei, per i musulmani; questi, se si chiederanno chi è Gesù, si porranno la domanda che Gesù stesso ha fatto ai discepoli, e a questa domanda risponde proprio la Trasfigurazione.

Nel vivere la Trasfigurazione io credo sia importante tenere insieme la gloria e la passione. La gloria di Gesù è fondamentale: la Trasfigurazione è la porta della Risurrezione. Non si vive la Risurrezione se non si passa per la sua anticipazione, che è proprio la Trasfigurazione di Gesù. Ma la gloria, lo sappiamo, non è la gloria del mondo; è la gloria della passione, della croce. È questo che cerchiamo di custodire in questo convento: se noi non avviciniamo alla gente tutto questo, i pellegrini entrano, se ne vanno e non capiscono nemmeno di cosa si tratti. Abbiamo un compito di custodia importante.

Custodire, certo. È la vostra missione. E custodire implica anche intervenire materialmente su edifici e comunità. Che progetti state realizzando qui sul monte Tabor?

Con i numeri che abbiamo non è semplice, ma non ci rassegnamo…

Dal novembre 2020, stiamo portando avanti i lavori di restauro delle due grandi torri della facciata del santuario. Prima abbiamo operato sulla torre campanaria, poi abbiamo cominciato a restaurare anche l’altra. I lavori dovevano durare sei mesi, adesso siamo ad un anno e mezzo. Ovviamente, i ritardi sono tutti dovuti alla pandemia.

Un altro lavoro importante è stato quello che ci ha portati a rimettere in sesto gli spazi occupati dal 2007 ad giugno 2022 dalla cooperativa MondoX, che aiuta i giovani a uscire dai problemi di droga e da brutte situazioni sociali. Loro avevano in gestione varie strutture, tra cui la sala da pranzo e il giardino; poi con il venir meno del numero di persone attive, nel giugno 2022 si è chiusa l’esperienza. Ci siamo trovati con in mano la gestione di molti spazi prima assegnati ad altri, e non è facile. Abbiamo dovuto chiamare nuovamente una coppia di operai che lavoravano qui da cinquant’anni, e che da qualche tempo tenevamo in cassa integrazione.

Quello che ci preme è impiantare negli spazi lasciati da MondoX una nuova comunità. Abbiamo contattato le suore dell’evangelizzazione, che ci hanno dato risposta positiva. Si occuperanno sostanzialmente dell’ospitalità dei pellegrini nella Casa Nova di Nazaret.

E domani? Cosa succederà per la Festa della Trasfigurazione?

La festa di domani comincia a essere preparata qualche giorno prima. Già negli scorsi giorni sono salite delle famiglie per dormire sotto le tende, un modo per fare memoria dell’episodio descritto nei Vangeli, in cui Pietro chiede a Gesù di poter realizzare tre tende. Negli scorsi anni, la cosa è stata un po’ snaturata, perché spesso c’era chi si metteva a fare il barbecue…

Domani, comunque, ci attende la messa pontificale celebrata dal padre custode Fra Francesco Patton, in cui presenzierà anche il Nunzio Apostolico Adolfo Tito Yllana. Sperando che, con il decrescere delle misure di contenimento della pandemia, tornino un po’ di pellegrini, ci dirigeremo in processione alla cappella dedicata ai Discendentibus, che fa memoria della discesa dal monte Tabor dei discepoli con Gesù, durante la quale il Maestro impone ai suoi di non dire nulla di quanto avevano visto.

Questa simboleggia il ritorno alla realtà, dura, qualche volta un po’ aspra…

Come quella di questa terra travagliata. Quanto sembra lontana da qui la pace della Trasfigurazione e la gloria della Risurrezione.

Certo, questa è una terra martoriata e piena di contraddizioni. Penso che la Risurrezione sia ancora una risposta attuale: dopotutto, non è qualcosa che sta fuori della storia; Gesù l’ha avvicinata alla storia, l’ha portata nella storia. E la Risurrezione è la pace stessa di Gesù, che solo lui può dare: ‘Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi’. La risposta ai problemi di questo contesto è la Risurrezione, non la giustizia degli uomini; questa non dura. E di Risurrezione un po’ profumano i nostri progetti, soprattutto quelli scolastici. È con i ragazzi che si semina la pace; certo – lo diceva madre Teresa di Calcutta – non è che una goccia in un oceano. Però lo possiamo fare.

Padre Ricardo Bustos, Monte Tabor

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