O si altera la tenebra / o in qualche modo si abitua la vista / alla notte profonda, / e la vita cammina quasi dritta.
L’occhio umano è progettato per essere profondamente adattabile alla variazione delle condizioni dell’ambiente che lo circonda: quando cala il buio le tenebre impediscono la vista, ma bastano pochi minuti ai nostri occhi per imparare a carpire anche la luce più sottile, per imparare di nuovo a vedere. La poetessa Emily Dickinson racconta così la resilienza: la capacità umana di «abituare la vista alla notte profonda», la capacità della vita di tornare sempre a «camminare quasi dritta».
È una lezione che il popolo libanese conosce profondamente: prima degli ultimi sviluppi del conflitto abbiamo già raccontato di un Libano resiliente, un Libano desideroso di ripartire, e neppure i missili sono riusciti a dissipare l’impegno e la volontà di agire del popolo dei cedri.
Costruire la resilienza, un progetto alla volta
«Il progetto WIP aiuta Pyckd, il mio business, e quindi aiuta me; ma mi aiuta anche ad aiutare altre persone». George Daccache, fondatore e CEO di Pyckd – un marketplace libanese a supporto degli artigiani locali – sottolinea l’importanza della possibilità di essere d’aiuto in prima persona alla sua comunità, comparabile per lui alla gratitudine che prova nel ricevere un supporto economico e professionale. «C’è un doppio livello in WIP, ed è questo secondo me il suo valore aggiunto: sostenendo me stesso riesco nello stesso tempo a sostenere anche altri, in un circolo virtuoso».
Pyckd è una piattaforma che supporta i piccoli artigiani nella vendita internazionale dei loro prodotti: nasce per aiutare i venditori nella gestione delle attività burocratiche, con l’obiettivo di automatizzare il più possibile la personalizzazione del prodotto e rendere facile la comunicazione con il cliente, fornendo al produttore più strumenti per poter acquisire visibilità e, dunque, acquirenti. «L’obiettivo finale è creare un impatto sociale, aiutare gli artigiani. Certamente agevolare l’inserimento di duecento venditori libanesi nel mercato internazionale non cambierà drasticamente la situazione economica del Libano,» sottolinea George con un sorriso, «ma bisogna pur partire da qualche parte. E una volta che vedranno che si può davvero crescere attraverso una piattaforma locale, altri artigiani vorranno partecipare al progetto, estendendone la capacità d’impatto».
Anche Ayki, lo small business ideato e gestito da Ara Abadjan, ha per costituzione un impatto positivo sul paese su più livelli: «I piccoli agricoltori possono utilizzare la mia applicazione per pianificare meglio le loro coltivazioni, evitando così di perdere opportunità preziose. Potranno massimizzare la quantità di cibo prodotto, garantendo al contempo la massima qualità, anche in spazi limitati», spiega Ara. La sua Ayki è un’applicazione di garden planning, sulla quale trovare consigli utili per coltivare prodotti di qualità sfruttando al massimo le occasioni produttive, per pianificare le colture in modo che rendano il più possibile. Ara punta in alto: «Vogliamo contribuire alla sicurezza alimentare in Libano, per ripartire e migliorare in termini di qualità e accessibilità del cibo. Ciò significa contribuire a produrre cibo nutriente e sano, mantenendone i prezzi accessibili a tutti».
L'abitudine all'incertezza
I due imprenditori sono molto giovani, ma conoscono bene la guerra e l’incertezza che essa porta con sé: «Nel mio villaggio, Anjar, si sentono le bombe cadere tutto il giorno, dalla mattina alla sera», racconta Ara. «Anjar si trova nella valle della Beqa’, una delle zone più colpite al momento: essendo un villaggio cristiano è uno dei più sicuri nella zona, eppure se per un giorno o due non sentiamo esplosioni ci chiediamo cosa sia successo, straniti». «Siamo abituati: è così da tempo, in Libano. Io quando sono scoppiati gli ultimi attacchi mi trovavo altrove, a Dubai, da mio fratello,» spiega George, «ma conosco bene la situazione: l’ho vissuta spesso».
Proprio a causa di questa abitudine all’incertezza e all’impossibilità di fare affidamento su una stabilità a lungo termine, gli imprenditori libanesi hanno sviluppato la capacità di prevenire le emergenze: «Io sapevo che qualcosa sarebbe successo in Libano: se non quest’anno, al massimo il prossimo. Quindi, quando ho messo in piedi il progetto Ayki, l’ho creato completamente digitale, in modo che non potesse essere influenzato dall’andamento della situazione economica e politica locale».
Prima di essere degli imprenditori, sia Ara che George sono due giovani impegnati nel supporto attivo alla propria comunità: Ara ha un giardino che usa per «produrre cibo, erbe, verdure. Prima di questa guerra fornivamo materie prime a circa venti ristoranti della zona, oggi diciotto di questi hanno chiuso. Mi sono allora inserito nel supporto agli sfollati rifugiatisi presso la nostra scuola: due volte a settimana mandiamo loro il necessario per mangiare. Facciamo così la nostra parte: aiutandoci l’un l’altro a convivere, condividendo ciò che abbiamo».
George ha invece trasformato il suo amore per gli animali in un rifugio per animali abbandonati: «Il nostro rifugio si chiama Johnny’s shelter: Johnny era il mio gatto, che avevo adottato dopo averlo trovato abbandonato. Ci prendiamo cura degli animali domestici che le famiglie sfollate non riescono a portare con sé, finché non potranno tornare a casa, e ci facciamo carico delle cure e delle spese mediche per chi non se lo può permettere».
Scommettere sul Libano per ripartire
La stessa spinta a lasciare un segno e a dare un contributo concreto, in prima persona, muove le loro idee di business: scegliere di investire in un paese come il Libano, inserito «nella lista grigia» del mercato internazionale – e per questo, spiega Ara, considerato «poco più che una fattoria, più che un vero paese sul quale investire» – è una scelta difficile e rischiosa. «È quasi impossibile trovare investitori felici di scommettere il proprio denaro su una startup libanese: hanno tutti paura che possa accadere di nuovo ciò che è accaduto nel 2019, hanno paura di perdere tutto».
Eppure George e Ara ci credono, nelle loro idee e nell’impatto che i loro progetti possono avere sul Libano e – perché no? – su un mercato internazionale; e ci crediamo anche noi, che attraverso WIP – e grazie al sostegno di un gruppo di imprenditori e manager di grandi aziende italiane – li affianchiamo nella creazione e nella gestione di progetti che possano, un passo alla volta, aiutare il Libano a ripartire, che possano cambiare davvero le cose, a partire dalla percezione che il mondo ha della serietà e delle potenzialità dell’imprenditoria libanese.