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Idlib: tra guerra e miracoli nei Villaggi dell’Oronte

22 Marzo 2024
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Idlib: tra guerra e miracoli nei Villaggi dell’Oronte
Idlib: tra guerra e miracoli nei Villaggi dell’Oronte

Come si vive nei Villaggi dell'Oronte nella provincia di Idlib, dop 13 anni di guerra? Quali sono le differenze con il resto della Siria? Lo abbiamo chiesto a padre Louai e padre Khoukaz.

Secondo una tradizione tramandata per secoli, due uomini tra i 40 e i 50 anni, si misero in viaggio da Gerusalemme verso Antiochia di Siria seguendo il corso del fiume Oronte. A causa della piena del fiume però gli fu impossibile percorrere il sentiero a valle, ma dovettero procedere sulle colline circostanti. Fu questo il motivo per cui gli uomini e le donne dei villaggi situati sulle colline vennero a conoscenza del nuovo culto, il cristianesimo, che in quel momento storico era agli albori. Siamo infatti nella metà del I secolo d.C. e quei due uomini sono Paolo e Barnaba.

I pochi cristiani di quei villaggi oggi, lo ricordano come se fosse ieri. Ed è questo ricordo che li anima ancora e li mantiene radicati alla loro terra e saldi nella loro missione nonostante l’area di cui parliamo oggi faccia parte del governatorato di Idlib, una delle ultime zone della Siria dove si combatte ancora dopo 13 anni di guerra e dove a periodi alterni, hanno governato gruppi di jihadisti e ribelli contro il governo di Damasco, con violenza e terrore.

Gli unici due religiosi cristiani

A raccontarcelo sono padre Louai e padre Khoukaz, parroci dei villaggi di Knaye (Qunaya) e Yacoubiyeh, francescani della Custodia di Terra Santa e ultimi due religiosi cristiani rimasti nella provincia più contesa della Siria. La loro missione è innanzitutto quella di accudire e accompagnare i 250 cristiani che hanno deciso di rimanere qui perché, dicono, la loro testimonianza è “fondamentale nonostante tutto, nonostante la maggior parte dei loro parenti e amici siano fuggiti a causa della guerra”.

Per loro la storia Paolo e Barnaba non è solo una leggenda o una storiella che si raccontano per farsi coraggio, ma è una realtà e una missione di vita che oggi dà i suoi frutti in quelli che i due francescani definiscono veri e propri “miracoli quotidiani”.

Non è una storiella per il giovane padre Khoukaz, arrivato da poche settimane e da subito accolto da pesanti bombardamenti. Khoukaz è originario di qui e ha risposto alla chiamata a diventare parroco di Knaye dopo che il precedente parroco, padre Hanna Jallouf è stato consacrato vescovo dei Latini di Aleppo. E non lo è per padre Louai che dopo un periodo di servizio a Betlemme è parroco di Yacoubiyeh dal 2015. “Per me venire qua – racconta padre Louai – è un rendimento di grazie per questa terra che è stata il contesto geografico della mia vocazione”.

Un rendimento di grazie che prende forma di gesti concreti di accompagnamento e di assistenza gratuiti non solo alla comunità cristiana, ma a chiunque chieda aiuto. È questo che negli anni ha convinto anche alcuni tra coloro che dal 2015 avevano occupato le case, depredato i terreni con gli ulivi e costretto migliaia di persone alla fuga verso città più sicure. “Di recente – ci dice Louai – ci sono spiragli di miglioramento nei rapporti, il terremoto dello scorso anno ha letteralmente spezzato le spalle alle persone e il fatto di aver fornito assistenza a tutti è stata una testimonianzache ci ha unito tutti”.

Qui si vive "meglio" che nel resto della Siria

Questo spiraglio di speranza di una riconciliazione (e forse un giorno della restituzione dei terreni), è uno dei motivi per cui alcuni stanno pensando di ritornare. “Qui la situazione – ci racconta padre Khoukaz – in un certo senso è leggermente migliore rispetto al resto della Siria. È imprevedibile – certo – perché i combattimenti potrebbero scoppiare in qualsiasi momento, ma a livello economico si può vivere meglio. Per questo circa 30 famiglie hanno deciso di tornare recentemente”.

Padre Khoukaz arriva da Aleppo dove era viceparroco e conosce molto bene gli effetti della crisi economica in corso sulle famiglie a causa di un costo della vita spaventoso in confronto agli stipendi percepiti. “Qui le persone vivono principalmente del raccolto ed è più semplice trovare un sostentamento. In città come Aleppo è ormai quasi impossibile”.

Testimonianza per il mondo intero

“Queste famiglie – dice padre Louai – che decidono di tornare, sono una novità grande per noi, perché in questi anni la comunità era soprattutto composta da anziani le cui famiglie erano fuggite”. Questo padre Louai lo racconta per spiegare come, seppur composta da molti anziani e malati, la comunità sia alimentata da una fede e una resilienza che non hanno eguali e che costringono a concentrarsi su ciò che vale di più nella vita “un passo delle scritture – conclude Louai – dice che la fede rinascerà da un popolo di zoppi e malati, come siamo noi, ed è così: sono convinto che la fede che c’è qui ha un valore enorme per il mondo intero”. Certo rimane la speranza che in un futuro non troppo lontano, sempre più persone decidano di tornare qui e soprattutto che i terreni vengano restituiti.

Il rapporto con un’autorità locale fragile, soggetta a continui cambiamenti e contrasti, non è per niente facile e a tratti rischiosa. “Non è – aggiunge ancora Khoukaz – una missione semplice, la paura dei bombardamenti e della violenza c’è, ma proprio per questo stupisce la serenità con cui affrontiamo la quotidianità. L'ho voluto ricordare nella mia predica di inizio mandato in cui ho detto: ‘siamo pochi, ma ognuno di voi ha una fede che vale per mille persone in altre parti’ e questo è l’importante”.

Per i francescani non c’è dubbio: “l’unico modo per incontrarsi e porre le basi di un dialogo è la gratuitàche che deriva dalla fede”. Quella stessa che gli hanno insegnato Barnaba e Paolo.

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