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La crisi sanitaria in Siria: i numeri di una tragedia

15 Ottobre 2021
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La crisi sanitaria in Siria: i numeri di una tragedia
La crisi sanitaria in Siria: i numeri di una tragedia

Nel marzo 2021, la guerra in Siria ha malauguratamente compiuto il suo decimo anno. Il conflitto è stato brutale, e continua ad esserlo. La commissione Internazionale Indipendente d’inchiesta sulla Repubblica Araba Siriana ha affermato nel 2020 che lo scontro ormai decennale ha conosciuto l’impiego di armamenti estremamente distruttivi, utilizzati indiscriminatamente anche contro obiettivi civili. Analisi puntualmente confermata dall’organo competente dell’Unione Europea, l’Ufficio per il Supporto all’Asilo (EASO), il quale passa in rassegna in un ricco report del luglio 2021 la lista, lunghissima, di potenze mondiali coinvolte nel conflitto e conta ben cinque scontri indipendenti combattuti contemporaneamente in Siria.

E proprio il documento di EASO riferisce dei numerosi attacchi che in Siria vengono effettuati ai danni delle infrastrutture sanitarie. Solo nel 2020, afferma il report dell’Ufficio Europeo, se ne sono contati 28, più di due al mese. Il che si traduce, in costi umani, nel bilancio di cinquantacinque persone coinvolte, tra feriti e morti.

Il costo altissimo pagato alla situazione di conflitto dal sistema sanitario siriano è ricordato da più parti. Nel discorso tenuto in occasione dell’ingresso nel decimo anno di guerra, Mark Lowcock, l’ex-sottosegretario dell’Ufficio per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite (UNOCHA), ha ricordato che il 70% degli impiegati nel settore sanitario ha dovuto lasciare la Siria. Un’emorragia gravissima, dove la crisi umanitaria imperversa

Il danno umano è solo una conseguenza dell’interminabile pioggia di bombardamenti che continua inesorabilmente a distruggere l’esangue infrastruttura sanitaria levantina (14 attacchi soltanto nei primi sei mesi del 2021). Lowcock ha ricordato nel suo intervento che solo il 52% dei centri di prima assistenza era pienamente funzionante nel dicembre del 2019. Un dato che si è dovuto aggiornare al ribasso: in un report che l’OMS ha steso nell’ottobre 2020 nel quadro del suo programma di monitoraggio dei servizi sanitari (HeRAMS) si riscontra che solo il 48% dei centri pubblici di Salute (Pronti Soccorsi, ambulatori…) è pienamente funzionante. Triste traguardo raggiunto anche dalle strutture ospedaliere: solo il 49% delle quali può essere impiegata in pieno.

Il sistema sanitario in Siria riscuote pesanti preoccupazioni presso gli organismi istituzionali: nel suo Piano di Risposta Umanitario (HRP) per la Siria, steso nel settembre 2021, l’UNOCHA indica proprio nella sanità la seconda voce di spesa per i finanziamenti da raccogliere. Più di quanto viene richiesto per rifugio ed assistenza non alimentare. I 576 milioni di dollari che l’Ufficio delle Nazioni Unite stima necessari per ospedali e spese mediche sono superati solo dai 1630 richiesti per far fronte all’emergenza alimentare, una delle più gravi attualmente in corso (Lowcock indica in otto milioni il numero di persone per cui l’accesso al cibo non è garantito).

Covid: una crisi nella crisi 

È dentro un quadro simile che si è dovuto cercare di far fronte all’avanzamento della situazione pandemica dovuta al Covid-19. 

I dati ufficiali sul numero delle infezioni appaiono poco preoccupanti, con un tasso di infezione giornaliero attualmente intorno ai 350 casi. Appaiono, appunto. In realtà, come puntualizza la direttrice esecutiva UNICEF Henrietta Fore nel proprio intervento al Consiglio di Sicurezza ONU nel marzo di quest’anno, il numero reale dei contagi in Siria non può essere stabilito con accuratezza.

La scarsa affidabilità dei dati dipende, oltre che dalle condizioni rovinose delle strutture sanitarie, soprattutto dalla discrepanza nei sistemi di monitoraggio sussistenti nelle varie aree del Paese. Discrepanza che riflette la complicazione politica e strategica della guerra in corso, prima che rispondere ad interrogativi umanitari. 

Parrebbe infatti, stando all’ultimo aggiornamento (di marzo 2021) del report steso congiuntamente da UNOCHA e OMS sul Covid nell’area siriana, che tra area Nord-Ovest ed area Nord-Est vi sia una grossa differenza nell’elaborazione dei dati dei tamponi. 

Nella parte orientale, tra Ar Raqqah ed al-Hasakah, retta dalle Forze Democratiche Siriane affiliate al PKK curdo, la struttura sanitaria pubblica se la cava abbondantemente da sé, certificando da sola il 95% dei positivi, e lasciando la restante parte alle organizzazioni internazionali. Nel settore occidentale, invece, tristemente noto per ospitare i governatorati di Aleppo e Idlib e conteso tra milizie filo-turche e truppe filo-governative, la situazione è ribaltata, e il 95% dei tamponi è effettuato e processato dall’OMS, all’interno del programma EWARS. 

Le ONG sostituiscono il Governo 

Questa spaccatura riflette indubbiamente lo stato di intensità del conflitto nelle varie aree: è proprio il governatorato di Aleppo a detenere il gramo primato del maggior numero di attacchi subiti ai centri pubblici del sistema sanitario. E proprio nel territorio di Aleppo sono morti tutti gli operatori sanitari massacrati dalla guerra sul lavoro tra gennaio e marzo 2021. Insomma, nel territorio più martoriato dalla guerra, le organizzazioni internazionali cercano di supplire alla vacanza di un’autorità costituita. 

Eppure, si sono levate voci di protesta contro il coinvolgimento dell’OMS nel Nord-Ovest della Siria, il quale ha tutta l’aria di accadere a discapito delle regioni di Nord-Est, tagliate fuori da un’assistenza di cui anch’esse avrebbero bisogno, stante la situazione pandemica. Joan Mustafa, Vicedirettore del Comitato di Salute Pubblica per la Siria del Nord-Est, ha diretto forti attacchi all’operato dell’OMS, accusando l’organizzazione di favorire le regioni nordoccidentali nella distribuzione dei lotti contenenti le fiale di vaccino. 

I primi sieri, che in Siria sono arrivati tra fine aprile ed inizio maggio, sarebbero infatti stati affidati dall’OMS al Syrian ad Interim Government (SIG), attivo nel governatorato di Idlib, ad esclusione dei territori nordorientali. Scatenando le ire di Mustafa, che ha accusato la rappresentante OMS in Siria, Akjamal Majtimova, di essere indifferente di fronte alla catastrofe umanitaria che si stava consumando.

Pronta la risposta di Majtimova, che ha garantito che la vaccinazione del Nord-Est siriano è una priorità del programma di vaccinazione della regione, esattamente come lo è quella del Nord-Ovest. Sulla priorità oggettivamente riconosciuta al SIG, Majtimova non sembra aver agito capricciosamente. Come spiega un lungo articolo comparso a maggio sul giornale siriano indipendente Enab Baladi, infatti, da sette anni il SIG porta avanti la campagna di amministrazione delle vaccinazioni nella zona. E può così vantare una considerevole esperienza in merito.   


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