“Gerusalemme è di tutti, ebrei, cristiani, musulmani. E soprattutto è patrimonio universale dell’umanità, sotto la protezione dell’Unesco. Perché non cercare di avere, sempre, decisioni condivise?” Così si esprimeva Padre Michele Piccirillo, archeologo dello Studium Biblicum Franciscanum recentemente scomparso, qualche anno fa. In riferimento a una tematica che continua ad essere uno degli argomenti più scottanti nella capitale contesa da palestinesi e israeliani- nel Luogo Santo per eccellenza delle tre grandi religioni monoteistiche: archeologia e politica. “Basta guardare a quello che è successo negli ultimi decenni, ma anche prima, nella storia degli scavi nella Città Vecchia, per capire che non è possibile buttare fuori la politica dalla finestra, e lasciarci solo l’archeologia”, dichiarava l’indiscusso esperto. L’apertura del tunnel del Muro del Pianto prima, porta Mughrabi poi.
E oggi ci pensa Silwan, quartiere di Gerusalemme Est abitato in maggioranza da palestinesi, ad accendere i riflettori internazionali sull’irrisolto conflitto nella Città Santa per cristiani, ebrei e musulmani. E a riportare scavi, interventi e progetti archeologici al centro del dibattito di quella che, per la popolazione araba, rappresenta per molti versi un’emergenza abitativa, come commenta padre Eugenio Alliata, archeologo dello Studium Biblicum Franciscanum. “Una notizia che continuamente rimbalza sulle pagine dei giornali è che a Gerusalemme presto, nonostante le pressioni internazionali, centinaia di persone dovranno sloggiare dal quartiere arabo di Silwan per fare posto a un parco archeologico- turistico, detto dei Giardini Reali”, dichiara il professore. Agli abitanti rimasti, molti dei quali a rischio sfratto, toccherebbe fare i conti proprio con gli archeologi e con progetti che, da decenni, intrecciano scavi e interventi di natura archeologa con interessi politico-religiosi in quella che, proprio riprendendo termini biblici, viene definita da Israele“area archeologica della Città di David”. Per padre Alliata i particolari interessi alla base di determinate iniziative alla riscoperta dell’antica Gerusalemme sarebbero evidenti. “E’ chiaro che archeologia, politica e Bibbia, pubblicità e finanziamenti, si incontrano/scontrano a Gerusalemme sullo sfondo di una situazione già di per sé abbastanza ricca di tensione”, dichiara infatti. Sempre secondo l’archeologo e curatore del Museo francescano dello Studium Biblicum, si verificherebbe in questo modo una collusione tra l’aspetto scientifico e quello politico “certo indesiderata e non inevitabile”. Una collusione dimostrata “dall’accusa frequente di privilegiare <certi> ritrovamenti e trascurarne <altri>”.
E mentre scontri e conflitti trovano spazio nelle principali testate mondiali, è scarso l’interesse nei confronti di quella che, nei quartieri ad Est come nella città vecchia di Gerusalemme, rappresenta un vero e proprio problema all’interno della comunità araba: l’aumento di popolazione, la difficoltà di ottenere permessi per allargare gli edifici esistenti o costruirne nuovi. Difficoltà sentite non solo dagli abitanti di religione musulmana, ma anche dai circa 6500 cristiani che risiedono nelle sovraffollate case di un centro storico la cui densità abitativa varia dalle 20 alle 79 persone per mille metri quadri: cifre nettamente superiori alle medie occidentali e che creano non poche difficoltà ai diretti interessati. I francescani della Custodia di Terra Santa, che possiedono numerosi edifici assegnati alle famiglie cristiane più bisognose in cambio di affitti simbolici, hanno da qualche mese iniziato, supportati dall’associazione ATS Pro Terra Sancta, attività di recupero e restauro degli ambienti più fatiscenti di queste abitazioni per garantire ai cristiani della città vecchia standard di vita migliori. Prevenendo l’esodo delle famiglie arabo-cristiane dalla Terra Santa.
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